L’imperatore Domiziano suscitò sentimenti contrastanti nei contemporanei e, quindi, nella narrazione che ne verrà fatta. Dai fedelissimi veniva chiamato dominus et deus, signore e dio, ma fu anche in aperto contrasto con il Senato e l’aristocrazia, tanto che alla morte ne fu ordinata la damnatio memoriare.
I musei Capitolini hanno ospitato la mostra Odio e Amore, dedicata all’imperatore romano, l’ultimo della gens Flavia.
Urbanistica e templi
Domiziano proseguì con la politica urbanistica e architettonica dei predecessori, viziata da eventi di diversa natura. Due grandi incendi, nel 64 e nell’80 d.C., l’anno prima dell’insediamento di Domiziano, e l’assedio del Campidoglio dai parte dei vitelliani (seguaci dell’imperatore Vitellio) nel 69. In quell’occasione, il giovane Domiziano riuscì a fuggire travestendosi da sacerdote di Iside.
Quella vicenda contribuì alla mitizzazione del colle, offerto a Giove e, appunto, Iside. Ma fu anche un modo per lasciare il segno in chiave politico-dinastica.
Urbanistica e infrasttruture
Per affermare la propria gens, Domiziano ordinò la costruzione della domus Flavia sul Palatino. Il complesso andò a inglobare la domus Tiberiana, incluso l’accesso alla casa di Augusto con tutto il relativo valore simbolico.
Secondo le fonti storiche, l’architettura palaziale consentiva la “gestione dell’immagine imperiale”, da una parte attraverso l’occultamento e dall’altra con una monumentalità che incuteva soggezione. Marziale scrisse addirittura che “il sole non vede nulla di più splendido in tutto il mondo”.
Domiziano fu anche attento allo sviluppo delle infrastrutture stradali e portuali. Ampliò il porto di Ostia e realizzò la via Domitiana, per collegare Roma a Puteoli, l’attuale Pozzuoli, porto di rilevanza commerciale e militare. Furono sviluppate opere pubbliche a Rimini e Carales, l’attuale Cagliari.
Stadi e il Colosseo
La realizzazione di edifici per gli spettacoli e stadi fu parte integrante dell’azione propagandistica i Domiziano. Campo Marzio venne monumentalizzato con Stadio e Odeon, in continuità progettuale con lo stadio di piazza Navona, il primo in muratura, da 30 mila posti. Dall’86 ospitò i Certamen Capitolinum Iovi, giochi ginnici quinquennali.
Fu proprio in epoca flavia che il Colosseo divenne simbolo del potere imperiale. Gli spettacoli gladiatori si adeguarono a una narrazione intrisa di eroismo e militarismo, cui si aggiunsero cacce di animali esotici, come i rinoceronti. Questi pachidermi finirono raffigurati sui quadranti, monete di scarso valore ma di grande diffusione. Anche altre città furono dotate di edifici per spettacoli, secondo il modello architettonico e culturale romano.
Espansione dell’impero e archi di trionfo
Domiziano condusse campagne di espansione soprattutto verso nord, contro popolazioni germaniche e danubiane. Vennero anche stabilizzate alcune province della Germania, tanto che nell’83 all’imperatore fu attribuito il cognomen Germanico. Ma ci fu attenzione anche verso l’Asia e l’Africa, seguendo le tracce di Nerone e (guardando fuori dall’impero) di Alessandro Magno. Le spedizioni commerciali raggiunsero mete estreme, come Agisymba, Paese non precisamente collocato ma presumibilmente a nord del lago Ciad, popolato anche da rinoceronti ed elefanti.
Sotto Domiziano fu ordinata la costruzione dell’arco di Tito, per celebrare la vittoria a Gerusalemme di dieci anni prima. Furono molti gli archi eretti, tanto che lo storico e biografo Svetonio scrisse: “costruì così tanti archi trionfali e onorari, che su uno di essi si pose la scritta in greco ‘basta’”. Le fonti letterarie, dopo la morte di Domiziano, hanno colmato le lacune dovute alla damnatio memoriae che gli fu imposta.
Damnatio memoriae
Domiziano fu ucciso nel 96 d.C. a 45 anni, quindici dei quali da imperatore, in seguito a una congiura che portò Nerva al potere.
Sempre Svetonio riporta come “la sua morte fu accolta con indifferenza dal popolo, ma con indignazione dai soldati, che provarono a farlo proclamare subito dio ed erano anche pronti a vendicarlo. Il Senato, al contrario, manifestò la più grande gioia. Si affrettarono a invadere la Curia e non poterono fare a meno di oltraggiare il morto con le invettive più violente e ingiuriose. Infine decretarono che si cancellassero dappertutto le sue iscrizioni e si abolisse di lui ogni ricordo”.
Secondo Plinio il Giovane e Cassio Dione, invece, la damnatio memoriae fu un processo quasi naturale, dettato dal sentimento popolare più che dalla volontà dei senatori. Studi più recenti hanno però dimostrato come la cancellazione delle tracce di Domiziano non fu così sistematica, ma legata al contesto geografico, come nelle province d’Egitto e nella stessa Roma.
Dannazione non riuscita
Di Domiziano venne data l’immagine di un tiranno, più comparabile a Nerone che non ai precedenti flavi. Con l’affermazione del cristianesimo, il ritratto fu ancora più ostile, viste le persecuzioni. Si arrivò addirittura a ritenere che la damnatio memoriae fosse ispirata niente meno che da Dio.
Nel Medioevo, le sorti del cadavere di Domiziano furono spunto di speculazioni. Si disse che morì lebbroso e che il corpo venne gettato nel Tevere. Giovanni Boccaccio scrisse che si fece uccidere dai servi e seppellire senza cerimonie. Francesco Petrarca lo descrive come “bello e rio”, in contrapposizione col “buono e bello” Tito. Mentre Dante non fa commenti, ricordando solo le persecuzioni dei cristiani.
Nel Seicento, Giovan Battista Lalli cambia i toni e inserisce Domiziano nella sua satira La Moscheide Overo Diomiziano il Moschicida, ispirato a quello che pare fosse un passatempo dell’imperatore. La particolarità venne ripresa anche da Luigi Pirandello nella poesia La caccia di Domiziano, che ne parlerà come atto liberatorio dell’anima oppressa dell’uomo antico.