Troppi pasti a base di aragosta, inaccettabile. Una motivazione abbastanza valida da spingere a una rivolta carceraria. Se la richiesta di una Playstation nuova inoltrata da Anders Breivik indignò non poco, lamentarsi per l’eccesso di crostacei nella dieta chissà cosa provocherebbe.
Si tratta probabilmente di un falso mito, di una storia non supportata dai fatti, pur col suo fondo di verità. Nei secoli scorsi, l’aragosta negli Stati Uniti orientali era così abbondante da essere un cibo povero, concesso anche a detenuti e schiavi.
La rivolta nelle Colonie
Vuole la leggenda che nel XVIII secolo ci furono delle rivolte nelle colonie penali del Massachusetts. Che venne firmato un accordo per limitare a un non precisato “qualche volta a settimana” il consumo di aragosta. Ma negli archivi ufficiali, di tutto questo, non vi sarebbe traccia.
Resta vero il fatto che, oltre a essere economica, l’aragosta non godesse di buona reputazione, nemmeno per il comportamento da viva. Per via dei movimenti a ritroso in caso di attacco, veniva considerata sinonimo di codardia – un esempio, la vignetta (britannica) di Napoleone a cavallo di un’aragosta.
Cambiamento di reputazione
Ma non è stata solo una questione di sovrabbondanza a svalutarne la fama. Come gli altri animali, veniva uccisa e cotta anche dopo giorni. Solo che l’aragosta, già appena morta, rilascia enzimi che accelerano il deterioramento del corpo e influiscono su qualità della carne e sapore.
Nel XIX secolo, con lo sviluppo della rete ferroviaria, l’aragosta diventa un piatto rapido ed economico da servire ai viaggiatori. Perde così lo stigma di essere cibo per schiavi e detenuti, praticamente serviva solo la giusta strategia di marketing. Già alla fine dell’Ottocento, l’aragosta si era trasformata nel piatto forte dei ristoranti della Costa Est.
Contraddizione col passato
Ci sono varie ipotesi sul perché si siano diffuse le voci su questa presunta rivolta. Secondo la storica Sandy Oliver, docente presso lo University College di Londra, ciò avvenne proprio quando le aragoste iniziarono a scarseggiare. Diventato un piatto di lusso, estremizzare le contraddizioni col passato sarebbe stato un processo naturale della narrazione.
Non è così diverso da quanto accada anche da noi col racconto della tradizione culinaria, magari per rafforzare inconsciamente il processo identitario. Alberto Grandi, accademico dell’Università di Parma, ha messo in dubbio vari falsi miti – dal parmigiano alla carbonara – e rischiato la crocifissione in sala mensa.
Questo perché la cucina, come ogni aspetto sociale e culturale, si evolve e si adatta nel tempo.
The Lobster
Tralasciando le accuse di codardia – ogni specie ottimizza le proprie tattiche difensive – l’aragosta è un animale di origini antichissime, i cui antenati comparvero circa 400 milioni di anni fa. Le cinque estinzioni di massa ci hanno insegnato che non si sopravvive solo per caso.
Ed è anche un animale longevo, caratteristica non ignorata dal protagonista di The Lobster, interpretato da Colin Farrell. Nel film diretto da Yorgos Lanthimos, la società impone rapporti di coppia, pena la trasformazione in un animale a scelta del condannato.
L’aragosta vive circa 70 anni e non muore nemmeno di invecchiamento, ma perché la muta, anno dopo anno, richiede sempre più energia.
Diritti dell’aragosta
Più che della reputazione tra gli umani, alle aragoste interesserà la questione alimentare. In quanto sprovviste di un sistema nervoso centrale (un cervello), si è ritenuto non fossero senzienti, ma non è così. È vero che il suono emesso quando vengono bollite vive in pentola non sia un urlo straziante, ma una reazione meccanica del vapore che fuoriesce dalle fessure dell’esoscheletro. Ciò non significa che non provino dolore o non abbiano coscienza.
La Svizzera è stato il primo Paese a vietare la bollitura delle aragoste ancora vive. Per vegetariani e vegani non sarà questa differenza, ma ora si procede con uno stordimento nei risultati simile a quello per l’uccisione di altri animali da allevamento.
Specismo
Lo specismo è innato, da sempre le varie culture di tutto il mondo hanno empatizzato e convissuto con certi animali e non con altri, sarebbe inutile (e scorretto) negarlo. Ciò non vuol dire che sia giusto – magari un giorno varani e gatti, cani e insetti stecco, godranno dello stesso identico affetto umano – semplicemente è il riconoscimento di un fatto.
Per usare le parole del comico George Carlin, “se l’aragosta non assomigliasse a un mostro fantascientifico, le persone sarebbero state meno capaci di gettarla viva nell’acqua bollente”.