Italia e armi, un rapporto ambiguo, sotto tanti punti di vista. Scarsa distribuzione interna ma grande esportazione, criminalità in calo ma alta percezione di insicurezza, cui però non segue un’azione concreta, se non nei talk show.
Partiamo dai dati. Secondo l’indagine Eurispes del 2008 le licenze sono appena 1,3 milioni, ma è stimata una presenza di circa 10 milioni di armi da fuoco nel nostro Paese, possedute da 4 milioni di famiglie – trattandosi di detenzioni illegittime i numeri possono non essere precisissimi. Secondo Wired Stati Uniti solo il 5% della popolazione sarebbe fornito di una pistola, cifra che mette l’Italia più o meno a metà classifica europea, ma più vicina al fondo (Romania e Lituania, sotto l’1%) che alla vetta, la Finlandia, popolazione di cacciatori dove quasi una persona su due è armata. Neanche troppo male.
Dall’altro lato abbiamo però, secondo il Parlamento europeo, il più alto tasso di omicidi per arma da fuoco del continente, 0,71 ogni 100 mila abitanti. La buona notizia è che è in calo dal 1992, dopo periodi di tensione come gli anni di piombo di qualche decennio prima e le faide interne alla mafia. La cattiva è che gli omicidi relativi alla criminalità organizzata o a quella comune sono stati scavalcati da quelli familiari e dai femminicidi, 128 contro 46 nel 2017 secondo il ministero dell’Interno.
Capitolo sicurezza. Il Viminale riporta che i reati sono calati del 9,2%, i furti sono in linea con la media (-9,1%) le rapine sono scese dell’11%. Ma la percezione direbbe tutt’altro. I sondaggi di Eurobarometro, per lo studio Firearms in the European Union, evidenziano una contraddizione netta. Il 75% dei cittadini in Italia ha paura, ma solo l’8% di chi ha effettivamente acquistato una pistola dice di averlo fatto per motivi di difesa personale. Eppure per mesi in tv e sui giornali si è parlato di autodifesa, della legittimità o meno di sparare ai ladri che si intrufolano nelle nostre proprietà. Come se la generalità di noi avesse la proverbiale 44 magnum sotto il cuscino.
O come se questa fosse un deterrente. Lo dimostra la patria delle armi, gli Stati Uniti, dove il possesso di una pistola è garantito da un anacronistico emendamento alla Costituzione, contestuale alla guerra di Indipendenza contro l’ex madrepatria Inghilterra. Svela l’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che gli USA hanno una percentuale di omicidi per arma da fuoco 25 volte più alta degli altri 22 Stati membri, che a livello assoluto superano di 10 volte i restanti Paesi, i quali, sommati, hanno il doppio della popolazione.
L’Italia non rischia (molto) di diventare un far west, è un Paese più o meno pacifista, di fatto partecipa sempre un po’ defilato alle operazioni militari sparse nel globo, evitando con astuzia il termine guerra, ripudiato dalla Costituzione, articolo 11, sia come mezzo di offesa che di soluzione per le controversie internazionali. Ma chiude un occhio, meglio tutti e due, quando si tratta di mercato.
Oltre ai marchi famosi come Beretta, le cui pistole finiscono anche in mano a miliziani libici, le esportazioni dall’Italia portano introiti miliardari e sempre in aumento, +85% dal 2015 al 2016 secondo la relazione annuale inviata dal Governo in collaborazione con i ministeri della Difesa, degli Esteri, dell’Economia e dello Sviluppo economico. Siamo nella top 10 dei venditori, senza sottilizzarci su chi sia il compratore: la Turchia che bombarda i curdi, l’Arabia Saudita che fa lo stesso in Yemen, la Libia (vedi sopra), l’Egitto che ringrazia uccidendo Giulio Regeni, l’India con cui c’era pure in ballo la questione marò, la Colombia per fortuna non più in guerra con le Farc o il Pakistan.
Senza dimenticare la violazione costante della legge 185 del 1990, sull’informazione pubblica della esportazione degli armamenti. Dal 2009, denuncia l’organo indipendente Osservatorio Diritti, l’Italia non presenta dati all’Unroca, il registro delle Nazioni Unite sulle armi convenzionali. Figuriamoci come va il mercato nero.