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La Polonia (e l’Europa) contro l’aborto

La Polonia fa parte dell’Unione Europea dal 2004, ma già dall’anno successivo, a leggere i fatti, il progetto comunitario rischiava il naufragio. Dagli anni ’90 governi di centrodestra e centrosinistra avevano «consolidato le strutture democratiche e creato un’economia di mercato», finché la spinta decisiva all’ingresso in Ue arrivò dalla sinistra, come accadde in Italia. Il problema era il lascito di una «forte disoccupazione» con pesanti «tagli ai servizi sociali» che hanno portato in breve tempo a una virata di governo prima conservatrice, e poi sempre più euro-scettica e nazionalista…

La lunga “egemonia Kaczyński” al potere iniziò già nel 2005, e lentamente, in 15 anni fino a oggi, è riuscita nel principale intento di allargare l’influenza del suo partito “Diritto e Giustizia”. Rimanendo così presente al governo in maniera pressoché continuativa, sia direttamente che indirettamente, attraverso altre personalità, tra cui gli attuali presidente Andrzej Duda, ex assistente di Kaczyński, e presidente del consiglio Mateusz Morawiecki, esponente del partito. A dispetto del nome garantista, anche le conseguenze delle sue posizioni sono dirette e indirette, ma ricadono tutte negli avvenimenti piuttosto anti-democratici che preoccupano l’Europa.

Scegliere “la comunicazione dell’intolleranza” porta naturalmente alla discriminazione attiva e, nei casi peggiori, alla violenza. Pensiamo, solo l’anno scorso, allo sconvolgente accoltellamento pubblico di Paweł Adamowicz, sindaco progressista di Danzica, aperto sostenitore delle questioni di genere. O alla più recente mobilitazione di massa in difesa del pieno diritto all’aborto che di recente però non ha proprio nulla: tentare di renderlo addirittura “incostituzionale” è stata la classica “goccia che fa traboccare il vaso”. Questo “diritto fondamentale della popolazione femminile mondiale” è annosa questione in Polonia almeno dagli anni ’90, comparendo nella lista dei paesi europei con le più severe misure anti-aborto.

Infatti, l’anti-abortismo in Europa non riguarda solo la Polonia, ma di sicuro è quella rimasta più indietro tra le grandi nazioni. In Irlanda la situazione era peggiore ed è appena cambiata con il referendum del 2018, ma in Andorra, Liechtenstein, Malta, Monaco e San Marino l’aborto non è consentito né su richiesta diretta della donna né tramite “giustificazione”. Inoltre si dice ben poco che in due Paesi importanti come il Regno Unito e la Finlandia l’aborto è riconosciuto solo per «ampi motivi sociali». Infine, non si può chiudere gli occhi di fronte ad “arretratezze de facto” che possono verificarsi in Paesi già consapevoli, come l’Italia, dove le donne hanno sempre più difficoltà nel far valere questo diritto.

Basta un dato: nel 2018 il 69% dei ginecologi italiani sono obiettori con un trend in crescita, scrive l’ultima relazione annuale del Ministero della Salute che ancora verifica lo stato d’attuazione della 194 (non sono però presenti gli anni 2019 – 2020). Sembra comunque interessante sottolineare che possa non essere l’etica o la fede a guidare la scelta, quanto la “gratificazione professionale: alcuni non-obiettori testimoniano infatti come le reali motivazioni dei colleghi, spesso neo-assunti, ricadano più nella possibilità di «vedersi assegnate procedure meno routinarie» che garantiscono migliori avanzamenti di carriera.

In ogni caso sembra che anche in Europa serpeggi un fondamentalismo, stavolta cattolico, di cui pochi parlano apertamente. Come per esempio Umberto de Giovannangeli sul Globalist (con annessa, legittima domanda): «Bavaglio alla stampa indipendente. Opposizioni silenziate. Minoranze etniche sotto attacco. Uso ‘fondamentalista’ della religione. Muri e fili spinati per blindare le frontiere. Domanda: cosa differenzia l’Ungheria di Orbán e la Polonia di Duda dalla Turchia? L’autoritarismo di Erdoğan è degno di sanzioni, mentre gli altri no, perché il primo è “islamista” e i secondi “cristiani”?»

8th day of Women’s Rights Protest against abortion law amendment / Wroclaw, Poland 31/10/2020 – Photo by Zuza Gałczyńska on Unsplash

Ma ci sono due aspetti da considerare. Il primo è che Erdoğan non ha mai sottoscritto un “patto europeo” che Polonia e Ungheria hanno oggi cercato di dimenticare nel pretestuoso tentativo di prendere aiuti senza concedere nulla, inconcepibile in qualsiasi logica di scambio. Quando si parla di rispetto dello “stato di diritto” ci si riferisce a “principi concreticome «legalità; processi legislativi trasparenti, responsabili, democratici e pluralistici; certezza del diritto; divieto di esercizio arbitrario del potere esecutivo; tutela giurisdizionale da parte di organi imparziali anche per il rispetto dei diritti fondamentali; separazione dei poteri; uguaglianza davanti alla legge».

E poi c’è la storia recente della Polonia: dopo decenni sotto la Russia si è sentita consegnare all’Europa, per ritrovarsi, quasi ironicamente, sotto scacco di sé stessa. La Polonia da tempo covava un “riscatto nazionalista” che ha le sue ragioni di esistere, ma se la Russia oggi dimostra la sua influenza nel vecchio, lento, pantagruelico esempio di “procrastinazione del potere”, l’Europa può mostrare l’unico confine ragionevole, attualmente esistente, in cui l’identità di ogni Paese può esprimersi più liberamente.

Continua con un mini-reportage, anche fotografico, da Varsavia e Breslavia…!

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